Il Canto del Mare, III Edizione 2023.
Il Premio letterario “Il Canto del Mare” è un prestigioso riconoscimento conferito ad autori che si sono distinti nel campo della letteratura. Con questo premio, vogliamo celebrare non solo l’autore o l’autrice, ma anche il valore culturale e simbolico delle loro opere.

Scrivere e affrontare tematiche legate al mondo attuale, esplorando le sfide e le dinamiche della nostra società attraverso riflessioni universali, rappresenta un gesto di straordinario valore. Questi autori si pongono come avamposti culturali, offrendo un’analisi critica e sensibile delle realtà che ci circondano.

Il Premio “Il Canto del Mare” vuole promuovere e sostenere coloro che utilizzano l’arte della scrittura per indagare l’essenza dell’esistenza umana, contribuendo a una maggiore comprensione di noi stessi e del mondo in cui viviamo. La potenza delle loro parole ispira e influisce positivamente sulle generazioni future, lasciando un’impronta indelebile nella cultura e nella società.
Complimenti dunque alla nostra autrice: Tindara Lanza de’ Rasi, autrice del libro L’ibiscus stava fiorendo, è stata selezionata dalla redazione del Concorso e risulta tra le vincitrici del premio per l’edizione 2023.
Conosciamo meglio l’autrice, prima di tutto come sta?
Bene, a parte il caldo torrido. Preferisco la primavera o l’autunno, periodi ottimali per scrivere, per quel che mi riguarda, e anche per lo stato di salute in generale. Ma questo credo sia valido per tutti, non solo per me.

Ci parli di lei, di come è approdata al mondo della scrittura.
Questo è un amorazzo lungo, diciamo infantile-adolescenziale, perdurato poi tutta la vita. Dopo che ho iniziato a muovere i primi passi nell’universo della letto-scrittura, mi cimentavo con i famosi “pensierini” che più che pensierini erano haiku lunghi, trattazioni tematiche. Ognuno ha il talento che ha, il carisma, la propensione. Tra le intelligenze multiple che individuò lo psicologo Howard Gardner, io ho sviluppato quella linguistica e quella creativa, a quanto pare.

Parliamo ancora della sua scrittura. Quando scrive? D’istinto? Ci lavora? Razionalizza? Qual è l’orario migliore per scrivere?
Tasto dolente. Il mio primo lavoro non è quello da giornalista o da scrittrice; queste sono mansioni secondarie. Io faccio tutt’altro. Quindi, per rispondere punto per punto: scrivo quando mi viene l’ispirazione, in modo istintuale; poi rielaboro tutto a distanza di tempo, lavorando, aggiungendo, togliendo. A volte limo fino all’esaurimento, perché sono una perfezionista implacabile. E, nonostante tutto, non mi riesce di ottenere un prodotto finito esente da sbavature, con grande mio disappunto. Ogni volta che rileggo un mio lavoro stampato, sarei capace di stralciare tutto e riscriverlo per la centesima volta ex novo. Per quanto riguarda gli orari, quando sono fuori servizio scrivo a tutte le ore, redigo i files che mi sono prefissa lavorando ininterrottamente anche per più giornate di seguito, senza staccare i pensieri, concentrata esclusivamente su quello che sto facendo. Le idee migliori le ho nel dormiveglia: appunto tutto grazie a una penna con torcia incorporata che mi è stata regalata da mio marito, e ricomincio nelle ore diurne lavorandoci al computer. Smetto soltanto o per limiti di tempo, perché ricomincia la settimana lavorativa, o perché ho davvero completato il contenuto che intendevo realizzare. Distendo la tensione creativa, l’energia che mi genera e mi fagocita, solo quando finisco quel lavoro di creazione, di poiesi, come amo dire io. Altrimenti continuo a vivere in uno stato di tensione fisica incredibile, finché non fisso tutto su carta.

C’è qualche film, libro, autore che l’ha influenzata?
Tutti e nessuno in particolare. Io leggo libri di ogni genere e non c’è nulla della carta scritta che non mi lasci una suggestione. Mi piacciono anche i saggi antropologici e la letteratura estera meno conosciuta. Ovviamente, amo molto la tendenza letteraria di scuola siciliana che ritrae l’isola in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi, e che ha aperto la strada a un revival di registri linguistici regionali-italiani “dialogici”, creando una sorta di pidgin del XXI secolo. Lo studioso Uriel Weinreich, che si occupava di yiddish, dialettologia e semantica, parlò più precisamente di “contatto linguistico” per le comunità parlanti locali, che è diverso dal bilinguismo. La Sicilia è sempre stata terra di confronti e mescolamenti. La comitissa Adelasia Incisa del Vasto giunta in Sicilia nell’anno Mille, deve aver trovato una grande pastiche di registri e sottocodici incredibili, per esempio. Credo che questa virata stilistica degli autori siciliani, come di tanti altri in tutta Italia e nel mondo ancorati al loro territorio di appartenenza, non sia quindi una tendenza campanilistica e regionale di comodo da sminuire, ma faccia invece capo a una scuola di pensiero attenta alla storia che ci appartiene. Diverrà una “corrente letteraria” di quelle che si studieranno nelle antologie scolastiche. C’è stato il verismo, il realismo… Ci sarà anche la corrente “interlinguistica” o della “linguistica del contatto”. Io propongo di chiamarla “parràri commu manci, ma cu n’un certu stili”, parlare come mangi, ma con un certo stile internazionale e moderno. Sintetizzando, dalla Sicilia di Camilleri al mondo intero, il nome di questa corrente letteraria potrebbe benissimo essere: “Parcomm-a-custil” o “Parkom acustyl”. Che ne pensate? Copyright mio, ovviamente. Il comma nella retorica classica era una frase con virgola, oppure la virgola stessa, differente dal colon: il comma è quindi il termine perfetto per racchiudere la possibilità della lingua di non restare fissa e immutabile, ma di continuare a vivere ed evolversi oltre i punti fermi. E la parola acusti- della seconda parte del nome, ha i connotati del cuntu e dell’ascolto. Il nome giusto per questa nuova corrente letteraria germogliata proprio in Sicilia, a mio avviso. Personalmente, dunque, mi sento innestata in questo flusso migratorio, in questa corrente benefica. Non ne sono la capostipite, ma mi coinvolge molto, catalizzandomi e definendomi meglio di quanto potrei fare da sola.

Sta scrivendo? Ha progetti in cantiere?
Certo. Mi piacerebbe rendere il mio libro L’ibiscus stava fiorendo, edito dalla Kimerik, un audiolibro, in modo che possano ascoltarlo anche le persone anziane o che non hanno dimestichezza con la lettura, come alcuni miei familiari, così come favoreggio l’uso di caratteri a stampa adatti a dislessici o a ipovedenti. Qualcuno che mi finanzi o che mi aiuti nell’impresa? Vedremo. Intanto sto scrivendo il sequel del mio libro e ho già l’architettura del terzo in fase ideativa. Ovviamente, io non seguo questo unico filone, ma ho altri libri giovanili nel cassetto che chissà quando mi deciderò a revisionare per farne un prodotto decente da stampare. Ho anche un buon numero di poesie da sistematizzare e rivedere. Anche dai tanti miei articoli giornalistici, mi piacerebbe ricavarne una raccolta cartacea organizzata/disorganizzata per tematiche. È il tempo libero che mi manca, per fare tutto questo necessario lavoro preparatorio, e non ho segretarie stipendiate che lo facciano al posto mio. Il nuovo libro mi divora d’urgenza creativa, comunque, e non posso che concentrarmi su quello per ora. Ha la priorità, sennò l’afflato ispiratore, come lo definisco nel primo libro, va via e addio…

Ci vuole parlare del suo lavoro?
Il mio lavoro effettivo da docente, o la mia creatura, il libro appena uscito? Sono entrambe dimensioni importanti del mio vivere. Il libro ha avuto una lunga gestazione per mancanza di tempo libero, ma non ne potevo più, dovevo pubblicarlo, doveva nascere. Se non facevo quel primo passo, barcollante e imperfetto, certo, ma necessario, non sarei riuscita a muovermi mai verso le mie scelte di vita. Il lavoro che faccio è bellissimo e gratificante, ma è inserito tra i lavori usuranti ed è esattamente così: usurante, senza orari, con la casa sommersa di oggetti e ausili, con ore fuori orario che sono infinite e sfibranti. Tuttavia, il negotium esige l’otium, dicevano i latini. La mia dimensione creativa è realizzazione personale al pari del lavoro professionale, e va curata con la massima saggezza.

Ultima domanda!
Deve partire per un’isola deserta. Può scegliere solo tre libri.
Che libri sceglierebbe da portare con sé?
Questa domanda mi è stata posta spesso e ho finito per citare sempre stessi autori e gli stessi titoli. Varierò, per non annoiare chi mi segue. Stavolta vi dico che, dovendo finire su un’isola deserta, per continuare a immaginarmi in viaggio e non in staticità, porterei con me I vagabondi di Olga Tokarczuk. Ma anche La restanza di Vito Teti sarebbe adatto, sebbene il concetto dello studioso sia diverso dal semplice stare fermi a vita in un luogo. Direi di mettere in valigia anche un buon ergodico, come per esempio S. La nave di Teseo, scritto da Doug Dorst e ideato da J. J. Abrams: non mi annoierei di certo, con un testo scritto così. Un genere dinamico, quello della letteratura ergodica, che amo molto e al quale tendo spontaneamente, fin da piccola. Anche nel libro L’ibiscus stava fiorendo ho usato una tecnica stilistica non lineare, come ben sapete, accompagnando la vita frenetica della protagonista a Milano con l’uso di uno stile sincopato e spezzettato, e quella più tranquilla in Sicilia con capitoli man mano più di-stesi, nel senso di stesi proprio sul prato, sulla spiaggia, ampi, lunghi, larghi… Contro il fiato corto della vita di tutti i giorni, i cerchi concentrici dei lavatoi e dei bevai tipici siciliani, delle jibie cioè, che si allargano, che si ampliano, che ammaliano… Misurarmi con una certa commistione di linguaggi e di stili destrutturati, è un diletto o un vezzo, se volete, ma questo è ciò che amo, e lo è sia come scrittrice che come lettrice.

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